Perfect Days. Una lezione di autenticità
Per una vita felice
Renzo Gherardi, redattore di EroStraniero, ha scritto un articolo sul modo di vivere delle nuove generazioni, in particolare su alcuni cambiamenti. Ci sono sempre più persone, dice Gherardi, che sembrano indirizzarsi verso una vita semplice, con valori che esulano dai soldi, dal consumismo, dalla frenesia e dai rumori della città.
Il tema del vivere o della filosofia del vivere è molto attuale e lo troviamo anche in alcuni film di questi ultimi tempi. Uno sguardo particolare su questo tema ci viene dal regista Wim Wenders con il suo film Perfect Days. Un bel film che fa riflettere e che può dare una sensazione di sospensione tra sogno e realtà.
Hirayama, il protagonista, è persona di poche parole, addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo. Questo potrebbe farci immaginare una persona insoddisfatta e frustrata. Invece no. Durante tutto il film è visibile la sua serenità e gioia. Hirayama sorride, legge, annaffia i fiori, cena fuori, fa il bagno alle terme. Parvenze di una persona calma e sorridente che ogni mattina si alza, apre la porta di casa e guarda il cielo sorridendo. Le sue giornate sono scandite da momenti e azioni sempre uguali, carichi di ritualità. In una scena del film compare la sorella. Da questo incontro e dal dialogo tra i due si capisce che, forse, un tempo, Hirayama faceva un lavoro diverso, più prestigioso, che c’è un padre di mezzo di cui la sorella gli parla. Probabilmente quel tipo di vita non gli andava, forse c’è stato qualcosa che gli ha fatto cambiare strada. Ha preferito questo modo di vivere, quello di oggi: fuori casa si prende cura della pulizia dei bagni e quindi degli altri, dentro la sua piccola casa cura i fiori e se stesso. Ogni giorno guida il furgoncino attrezzato per la pulizia dei bagni, ascoltando la sua musica preferita. Un giorno arriva la nipote che scappata dalla casa della madre si rifugia da lui. Inizia così un dialogo tra i due, alcuni momenti di gioco ma anche di silenzio perché Hirayama è uomo di poche parole. Nel loro dialogo, a un certo punto, Hirayama dice che la mamma della ragazza, che è sua sorella, vive in un altro mondo, diverso dal suo e che a volte succede che ci sono mondi che non si incontrano.
Il film può, a mio avviso, far riflettere su quale sia il modo migliore per vivere: come Hirayama ovvero con poco o come la sorella che nel film arriva con una grande automobile e l’autista.
Questo film può lasciare un po’ sospesi e con la consapevolezza che non esista un modello di giusto, di bello, di felice e il suo contrario. Hirayama ha probabilmente trovato una sua strada, un suo modo di essere felice, un suo stare al mondo serenamente. Un altro messo nelle stesse situazioni probabilmente starebbe male. Si può essere felici anche pulendo bagni pubblici? Hirayama sembra esserlo. Ma un altro? Che cosa sia giusto per essere felici nessuno può dirlo.
Non esiste una ricetta o un modello. Esiste la vita e la nostra capacità di viverla come desideriamo, con serenità, con passioni, con sguardi verso il cielo, meravigliandoci sempre, come fa Hirayama, di quel creato che ogni giorno al risveglio ci appare con tanta bellezza. Forse il film ci vuole parlare di autenticità. Nel vivere quello che si sente. Come vivere rimanendo aderenti a noi stessi, al nostro modo di pensare, ai nostri valori? Ma forse la felicità sta proprio nel rimanere autentici e quindi liberi. Ma anche nel sapersi rispettare, amando quello che si fa, perché ogni lavoro può avere una sua dignità, se sappiamo attribuirgli un valore, un significato, un senso. E sembra che Hirayama quel senso lo abbia trovato.