Le elementari in tempo di guerra a Carpi
Dopo l’8 settembre 1943 anche la situazione delle scuole a Carpi precipitò. Il Provveditore, affinchè l’anno scolastico iniziasse regolarmente, scrisse al Podestà chiedendo che l’Autorità militare sgombrasse le scuole occupate da truppe italiane e tedesche. Una buona metà dell’edificio delle scuole maschili del centro era occupato dal ricovero dei vecchi e ciò costringeva ad effettuare un turno antimeridiano e uno al pomeriggio. Già da fine novembre molti maestri annotarono nelle Cronache dei registri scolastici che le lezioni erano disturbate dagli allarmi per cui dovevano portare gli alunni fuori dalle scuole.
Molte scuole rurali segnalarono anche l’arrivo di sfollati che cercavano di sottrarsi all’avanzare della guerra. In molte scuole gli alunni dovevano portare la legna per le stufe che il Comune non riusciva più a fornire.
Anche le Cronache dei maestri registravano i sentimenti contrastanti che attraversano gli italiani in quel drammatico periodo. Così vi è chi segnalava “Le dolorose incursioni che feriscono le nostre belle città…” e chi innalzava a scuola la bandiera repubblicana al posto d’onore a seguito del “tradimento del re e del Governo”. Una maestra di Cibeno vecchio in via Guastalla registrò “il tremolio ben noto dei vetri, ci dice che anche oggi gli inglesi bombardano una delle nostre città”.
Sempre a Cibeno vecchio si annota “Ultimo giorno di scuola: le nostre aule saranno adibite ad ospedale civile ausiliario”. Le scuole elementari maschili e femminili del centro di Carpi nello stesso periodo vennero requisite per istituirvi l’ospedale della Croce rossa.
La riapertura dell’anno scolastico successivo ebbe luogo solo nel dicembre del ’44; il freddo nelle scuole era tremendo come registra nella Cronaca una maestra: “La scuola è gelata: gli alunni tremano di freddo”. Nel frattempo la fabbrica Marelli a seguito di alcuni bombardamenti decide di decentrare i macchinari, molti dei quali saranno dislocati nelle scuole.
Il 15 febbraio ’45 una maestra del capoluogo annota “Oggi ho parlato di S.Francesco, mentre gli areoplani rombavano, mitragliavano e bombardavano”. I genitori in questi mesi mandano a scuola i figli più grandi ma non si fidano di farlo con i più piccoli. La maestra di Cibeno Pila registra come il crepitare della mitraglia costringe a rifugiarsi in ripari quali il fosso o la stalla. In alcuni casi sono i tedeschi, prossimi ormai alla ritirata, a far sgomberare le scuole.
Poi finalmente arriva ad aprile la Liberazione, puntualmente registrata da una maestra: “Finalmente liberi; quanti patimenti, quanti sospiri, quanti dolori! I liberatori sono passati con quasi mille automezzi per la strada secondaria di S.Marino… sembra un sogno. Non più mitra, non più tedeschi, non più Repubblica! Che sollievo”.
La ripresa delle attività scolastiche sarà difficile e laboriosa.
L’Ufficio tecnico del Comune a seguito di sopralluoghi compiuti nel mese di maggio ’45 predispose una relazione sullo stato delle scuole elementari. Nella scuola di Migliarina vi erano materiali dell’ufficio speciale di artiglieria, a Gargallo centro macchinari della Marelli ; la scuola di Cortile centro era occupata; Budrione centro era inagibile perchè incendiata mesi prima da un’azione dei nazifascisti. La maggior parte delle scuole tuttavia risultarono agibili pur senza vetri serrande e arredi.
“il tremolio ben noto dei vetri, ci dice che anche oggi gli inglesi bombardano una delle nostre città”.
Oltre ai danni diretti prodotti dalla guerra, i furti e l’incuria videro, fra l’altro, l’asportazione di quasi tutti gli oggetti di legno, i nastri delle serrande, le pompe dell’acqua e quanto altro poteva servire. Il preventivo delle spese per riparare i danni subiti dalle scuole ammontava a lire 1.343.000. Le scuole elementari del capoluogo prevedevano al mattino la frequenza del maschi e delle femmine al pomeriggio, in quanto le aule a disposizione erano solo 13. L’orario alternato venne utilizzato anche da numerose scuole rurali.
I bambini che iniziarono la classe prima avevano 7 anni in quanto a causa della guerra ben pochi di loro avevano frequentato durante l’anno scolastico 1944/45. Alcune insegnanti con l’elenco degli obbligati in mano andarono a cercare i bambini casa per casa, come fece tra le altre la maestra della classe 1^ di Cibeno vecchio alla ripresa dell’a.s. 1945/46 recandosi in via provinciale per Mantova a cercare i bambini non frequentanti.
Negli stessi anni grazie ad accordi tra Comuni i bambini di alcune località particolarmente toccate dalla guerra vennero ospitati da famiglie del luogo. A Carpi arrivarono bambini romani sfollati, poco o niente alfabetizzati con situazioni precarie alle spalle.
Il 1945 fu anche l’anno in cui verranno emanati i nuovi Programmi, permeati di spirito democratico e in cui trovavano spazio le forme di autogoverno. Del resto era evidente che si voleva abbandonare la retorica del Fascismo che tanti guasti aveva prodotto.
Dall’impulso dei nuovi Programmi presero piede il metodo globale per l’apprendimento della lettura e della scrittura e i metodi attivi. I maestri dovevano arrangiarsi ad utilizzare una didattica coerente con le istanze dei nuovi programmi che delineavano una diversa idea di persona e di bambino. Il Fascismo con l’autarchia culturale aveva impedito il confronto con la ricerca che avveniva nella didattica in altri paesi ed ora il rischio era lo spontaneismo.
Quanto al metodo globale veniva coniugato, almeno nei primi mesi di scuola, con asteggi che avrebbero dovuto aiutare la perfezione della calligrafia.
Nel gennaio del 1947 il Provveditore agli studi di Modena autorizzò l’apertura di 10 scuole nel territorio comunale, con lo scopo dichiarato di favorire la frequenza dei bambini più piccoli.
Fra queste citiamo Villa Benassi in via Donella, Giandegola in via Bella Rosa, il Cantoncino di Gargallo e Villa Negro. In queste scuolette un unico insegnante raccoglieva bambini di I, II e III.
L’adeguatezza di molti dei locali utilizzati per queste scuole era discutibile e precaria, come a Villa Benassi dove 46 alunni hanno a disposizione 25 metri quadrati.
Ma anche quando le lezioni vennero ospitate in edifici scolastici veri e propri, a volte dovettero condividere gli spazi con famiglie di sfollati, o con attività che non avevano nulla a che vedere con le lezioni scolastiche. Del resto anche le scuole del capoluogo soffrivano di coabitazioni improprie.
Nel maggio del 1947 don Zeno Saltini occupò alcune baracche dell’ex campo di concentramento di Fossoli, con più di 1000 persone, dando vita a Nomadelfia. Per le centinaia di minori presenti si organizzarono laboratori, le scuole elementari e Corsi popolari di diverso livello per ragazze e ragazzi dai 13 ai 20 anni. Furono 14 le classi elementari funzionanti sino all’a.s. 1951/52, dopo del quale Nomadelfia si trasferì nel grossetano. Diversi maestri fra cui Anna Maria Lugli, Maria Teresa Furlin, Olinto Lugli e Bruno Vascotto faranno tesoro di quell’esperienza quando si inseriranno nelle scuole statali.
Renzo Gherardi