L’arte di Adriano Boccaletti. Un prezioso contributo della moglie Marzia.
da EroStraniero n° 16 – dicembre 2018
“La gente ci ha sempre visti insieme, fin dalle medie. E ci ha sempre considerati coppia. Anche adesso chi vede me parla di Adriano. Parla con Adriano. Mi fa i complimenti per Adriano come se si rivolgesse a lui. E io mi sento ancora parte della coppia. Anzi direi sono l’intera coppia in questo senso.”
Marzia Baraldi Boccaletti.
All’inizio di ottobre, in una calda giornata autunnale, io e Milena Vecchi, segretaria di redazione di EroStraniero, ci siamo recate a casa di Marzia Baraldi Boccaletti, la moglie di Adriano Boccaletti, il pittore di Novi di Modena scomparso nel marzo del 2002.
Marzia era già stata in redazione per parlarci del marito, ma dopo quell’incontro, in cui emersero tanti aspetti della loro vita insieme, abbiamo sentito il desiderio di approfondire, di toccare con mano non solo l’arte di Adriano, ma anche di cogliere la sua presenza nel luogo dove è vissuto. Attraverso il racconto della moglie, noi della redazione volevamo ritrovare Adriano lì, a Novi. Pensavamo che la narrazione della moglie ci avrebbe accompagnate in un percorso a ritroso nel tempo, per sentire Adriano, il suo esserci stato come artista e il suo modo di concepire e di fare arte. “Adriano – dice Marzia – si definiva un artigiano, uno che sapeva fare quel mestiere”. Un artigiano da ascoltare attraverso le parole della moglie.
Marzia ci accoglie subito, appena arrivate, nello studio di Adriano. Notiamo che è rimasto tutto così come lui lo ha lasciato; ci sono ancora pennelli sul tavolo di lavoro. Alle pareti alcuni suoi dipinti. La curiosità mia e di Milena è molto forte e temiamo di invadere uno spazio privato, di vita, di affetti. Marzia, però, ci fa sentire subito a nostro agio, come se desiderasse mostrarci quell’arte, quelle opere a lei così care e cariche di significati, come se volesse condividere con noi non solo l’arte del marito, ma anche l’incontro con quest’uomo con cui ha condiviso una vita ricca di interessi e di affetti. Ci fa accomodare e l’intervista inizia.
Marzia, abbiamo pensato a questa intervista per capire meglio la figura di Adriano e in particolare la sua arte. Le chiediamo di ricordarlo come se lui fosse qui e ci raccontasse che cosa lo ispirava.
Lui diceva che aveva cose dentro che doveva “vomitare”. E’ brutta questa parola, ma era così. All’inizio dipingeva quello che aveva intorno a se. Andavamo sul Po, per noi è stata una grande scoperta. Le nostre passeggiate erano sul Po, per il fascino del grande fiume e per l’atmosfera che trasmetteva. All’inizio questo è stato il dominatore dei suoi paesaggi. Era difficile pensare alla figura, questa è arrivata pian piano. Subito dopo sono nate le figure: donne che lavoravano, perché lui aveva visto sua madre lavorare in campagna
Sta dicendo che lo ha ispirato la mamma?
Si. E’ stata proprio la figura materna che l’ha ispirato e accompagnato.
Aveva un buon rapporto con la madre?
Si, ma effettivamente avevamo un buon rapporto con tutta la famiglia. Parlo sempre al plurale: anch’io mi sono sentita della famiglia, insieme a lui.
Quindi lei ha accolto questa arte di suo marito? Possiamo dire che l’ha fatta un po’ anche sua?
Si. Eravamo in sintonia dappertutto e sempre. Soprattutto agli inizi, quando lui cercava la sua strada. Era sempre un continuo scambio. Alle estemporanee, dove lui andava, io l’ho sempre accompagnato. Le prime esperienze le abbiamo fatte insieme. Per questo, non riesco a parlare di lui al singolare, perché mi sono continuamente sentita con lui, considerandomi la sua compagna. Io continuo a essere la sua presenza fisica sulla terra. Perché chi vede me, vede lui. La gente ci ha sempre visti insieme, dalle medie. E ci ha sempre considerati coppia. Anche adesso chi vede me parla di Adriano. Mi fa i complimenti per Adriano, come se si rivolgesse a lui. E io mi sento ancora parte della coppia. Anzi direi sono l’intera coppia in questo senso.
Comprende tutto? Comprende sempre lui?
Si. Comprende tutto, lui non mi ha mai abbandonato, io l’ho sempre sentito come una mano sulla spalla dietro di me e continua ancora.
Per tornare all’arte di Adriano, secondo lei, Marzia, possiamo suddividere e collegare le sue ispirazioni ai diversi momenti della sua vita?
Secondo me lui, come tanti artisti, sentiva il vento di quello che doveva arrivare. Negli anni ‘70 ha denunciato i temi dell’inquinamento e della mancanza di privacy. Nella prossima mostra metterò un quadro di proprietà della Proloco, ma me lo prestano, in cui c’è un grande occhio: si chiama l’Ispettore generale che ti viene a scrutare. Oggi si parla di mancanza di privacy, invasione della privacy, lui questo lo diceva già negli anni ’70. Il mercato gli chiedeva di seguire un certo filone, ma lui si stancava, aveva bisogno di dipingere quello che sentiva dentro, non poteva rimanere legato solo al mercato.
Quindi il mercato gli chiedeva di adeguare la sua pittura a determinati temi?
Si. Il mercato gli chiedeva di dipingere le mondine, in realtà erano le contadine, le donne con la legna, con il granoturco, le lavandaie di una volta. Lui, dovendo vivere e mantenere una famiglia, rispondeva al mercato, ma a un certo punto aveva bisogno di uscire da quello che gli veniva richiesto e imposto, quindi lavorava per sé stesso.
Come si esprimeva attraverso la pittura?
Attraverso momenti negativi e positivi della sua vita. Ho pensato per la prima volta, parlando con voi, ai cavalli, che sono una tematica dell’anno ’85. I cavalli ci sono sempre stati nel suo paesaggio, ma quel tipo di cavallo, quella libertà del cavallo di quegli anni era diverso. Io lo sto associando, sempre di più, alla morte di mia sorella. Era triste per me, ma anche per lui che mi era a fianco. Ma questo, per Adriano, penso che doveva comunque portare una cosa positiva, doveva svolgersi in modo da tornare ad accettare la vita. L’ho capita ora questa cosa.
Su questo argomento, ricorda un vostro dialogo in cui si è espresso in tal senso?
No, questo no. E’ una considerazione mia. Ma discutendo con lui veniva fuori la libertà. La vita. L’uomo che torna a vivere. Perché ha una testa che ancora pensa, non come prima che si lasciava solo imbottire dalle idee altrui. C’era questo discorso di transizione in lui, ripeteva che là negli anni passati vedeva negativamente l’uomo, ora invece l’uomo, se vuole, può con la sua immaginazione, con la sua testa, riappropriarsi di se stesso.
Proviamo ad approfondire: Adriano sembra essere passato da una concezione dell’uomo in cui si faceva manipolare attraverso i media, ad un’altra concezione in cui l’uomo può ritornare a se stesso e recuperare la sua vita. E’ questo che intende dire?
Si. La manipolazione va dal ‘68 al ‘74. Per lui in tutto quel periodo c’era negatività. Vi faccio vedere il quadro dove c’è un corpo in decomposizione… questo è il momento negativo, siamo negli anni ‘72, ‘73. E’ il dominio degli insetti sull’uomo. Noi, secondo lui, stavamo rovinando il nostro mondo. Noi lo portavamo alla distruzione ed è quello che succede adesso. Ora questa tematica viene capita, ma allora no. Ci tengo a precisarlo.
Marzia in che anni quindi lui recupera fiducia nell’uomo?
Nell’anno ‘85 è come se tornasse a credere nell’uomo, ad avere fiducia. C’è un quadro che fa vedere la saggezza dell’uomo e quindi un rapporto positivo.
Lui lo esprime nella sua arte con il raggio di luce che diventa di nuovo la vita?
Si. Esce dalla negatività. Successivamente si può trovare positività anche nei nuovi contatti che riesce ad instaurare. Nell’anno ’86 va in Ungheria e inizia a lavorare nella ceramica, un’esperienza che lo riempie di nuovi interessi, di nuovi contatti, e quindi ecco un nuovo slancio. Scopre altro, come se scoprisse che c’è qualcosa ancora da esplorare, di nuovo. E questo è positivo perché può portare a nuove esperienze. Belle, come i viaggi in Ungheria nell’86 e ‘87, dove poi siamo andati insieme nel ‘94.
Quindi si è aperto di più al mondo?
Si, anche se di contatti ne ha sempre avuti, era sempre presente nelle associazioni e in tante attività.
Sul territorio intende? E’ sempre stato legato alla comunità di Novi?
Si. Lui partecipava agli eventi. Negli anni dal ‘57 al ‘60 andava ad aiutare il prete a fare il carnevale, andava a dipingere il cartellone per la festa de l’Unità, aiutava i giovani, aiutava a far nascere il coro delle mondine… c’è tutta una documentazione fotografica. Nel 1980, centenario della banda di Novi, Adriano ha regalato tre litografie: cercava di valorizzare queste cose.
Possiamo dire che cercava di valorizzare la comunità di Novi? Far emergere le mondine, dare loro un valore, regalare le litografie, sono tutte cose che valorizzano la comunità, sono importanti. La figura di Adriano non è solo una figura artistica: aveva anche competenze sociali?
Si, assolutamente. Era in collegamento con la comunità, la valorizzava, promuoveva la solidarietà. Adriano faceva sempre parte di tutte le attività, non solo della Banda del coro, ma di tutto quello che si svolgeva sul territorio, poi dal ‘90 al ‘95 è stato assessore alla cultura. Si è impegnato come esterno indipendente per il PCI: sono stati anni in cui ha dato impulso a concerti, a mostre di pittura, non sue ma di altri, che avevano cose da dire. Lui voleva che le persone del territorio diventassero importanti, voleva valorizzarle. Voleva che venissero percepite le cose belle che anche in un piccolo paese ci sono. Non dovevano andare perdute. Lui aveva dato un certo impulso alla vita culturale di Novi.
E con la gente di Novi che rapporto aveva?
Con la gente aveva un rapporto solare. Tutti lo ricordano. Parlava con tutti, era sempre molto aperto, non metteva soggezione. Si definiva artigiano. Lui diceva: “Io faccio un mestiere, ho le basi del mestiere, perché ho studiato e lo so fare. Un artigiano ci tiene a fare le cose fatte bene. Per me è importante che la gente capisca che io cerco di fare bene il mio lavoro.”
Siamo arrivati agli anni 90. Dopo?
Manda avanti la ceramica, va in Ungheria. Ora vuole tornare alle contadine, queste sono collegate alla richiesta del mercato dell’inizio, ma ora pensa: “Come posso far vedere agli altri lo sforzo che queste donne fanno, il loro movimento?”. E per diversi anni c’è la ricerca sul balletto. Sul movimento. Il balletto perché è quello che impegna la muscolatura.
Arriviamo al 2000.
Di positivo c’è stato che nel 2001 aveva fatto quattro splendide tele sui paesaggi del Po. In quel periodo dice di voler puntualizzare il suo percorso di quarant’anni e forse più. L’amministrazione comunale gli dà così il permesso di fare una mostra retrospettiva in sala civica. E’ stata una cosa molto importante. Ha avuto una bella chiusura e alla fine della mostra lui ha iniziato a dirmi che era stanco. Ma probabilmente c’era qualcosa a livello di salute, segni problematici. Mi sento di dire che ha chiuso in bellezza. Lui diceva sempre che non aveva paura della morte, ma della sofferenza e della vecchiaia, quindi è morto come lui voleva. E ora, visto che come ho detto all’inizio mi considero ancora coppia, per tante cose devo ringraziare il Signore che mi ha dato il permesso di vivere con una persona particolare. Io continuo a sentirmi la sua rappresentante fisica. Mi fa effetto quando parlo di lui e mi chiedo perché in questo momento in tanti mi cercano. Anche altri hanno voluto una mia testimonianza e mi chiedo: perché me? Io non ho fatto niente. Forse perché in me vedono pure lui.
L’ha sempre supportato e ha vissuto insieme a lui momenti importanti. Se lui è riuscito a fare era anche perché aveva al suo fianco una persona come lei, Marzia, che lo sosteneva e condivideva il suo percorso?
Per me veniva naturale, stare lì con lui a discutere. Io sono stata critica con lui, ma siamo stati compagni, amici, coniugi, c’era un intreccio, un’alchimia, al di là del fatto che si litigava ugualmente, ma c’era un supporto reciproco molto intenso. E questo sempre. Quando eravamo giovani ci meravigliavamo di come uno riuscisse a capire l’altro senza parlare. Ci tengo a definirmi compagna e noi eravamo pari. Lui è sempre stato per la libertà, anche della donna.
Torniamo al discorso della comunità. A Novi, a quell’epoca, c’erano stranieri?
Allora stranieri immigrati non c’erano. A volte venivano a cena i bambini Sahrawi, ma a Novi non c’erano stranieri.
Lei raccontava, in redazione che le persone oggi sono più chiuse nelle loro case, che c’è solitudine. La comunità novese è cambiata?
Si è cambiata, c’è una certa prevenzione verso il diverso. Adriano era molto aperto nei confronti della comunità, lui era più solare di me, era facile per lui entrare in relazione. Io sono stata più chiusa. Mi sento un po’ in difficoltà a trovare un canale di comunicazione con l’altro. Parlavo l’altro giorno con un signore che a Novi si è preso cura di sette giovani immigrati. Abbiamo chiesto che ci venissero ad aiutare per allestire lo stand ad una festa a Novi. Pregustavo già la possibilità di parlare a questi giovani, mi avrebbe farebbe piacere comunicare con loro.
E se ci fosse Adriano oggi?
Lui senz’altro entrerebbe in contatto con loro, chiedendo del loro Paese d’origine e anche altro, su questo non ci sono dubbi.
E lei Marzia oggi come si sente?
Io non sono mai sola, perché c’è sempre Adriano. Sto bene con me. Mi piace stare da sola. E’ giunto il momento in cui devo pensare a me. Io sono piena di soddisfazione, di gioia che cerco di trasmettere agli altri. Oggi si sentono tante persone che si lamentano: voglio dare loro un supporto positivo. Sono ottimista. Invecchiare così è bello. Ed è bello poter parlare di lui sempre.
L’intervista termina qui. Noi ci sentiamo di ringraziare Marzia. Per la sua generosità, per averci accolto nella sua casa con il dono della narrazione del marito che lei sente ancora accanto. La ringraziamo per averci fatto entrare nel suo mondo di artista, certi che se lui fosse ancora tra noi, come dice lei, avrebbe sicuramente continuato nel suo contributo all’arte, ma non solo. Si sarebbe prodigato per la realizzazione di una comunità più giusta. Avrebbe sicuramente dato alla comunità novese un aiuto per l’integrazione di chi viene da altri Paesi.