Indignarci ogni giorno della banalità del male. L’orrore non visto che arriva diritto al cuore
“La zona di interesse”
Una bella casa, un grande giardino ben curato, una famiglia che vive lì, in pace, con i bambini che giocano nel prato e che vanno a scuola. Scene di una famiglia normale, di un quotidiano fatto di tante piccole cose. E poi eventi che riempiono le giornate, incontri con gli amici, con i colleghi. Siamo a casa di Rudolf Hooss il direttore del campo di concentramento di Auschwitz. In questa scenografia colpisce un particolare: la casa ha per confine un muro che la divide dal campo di concentramento. Al di là del muro il genocidio, le baracche, i forni crematori e le ciminiere con il fumo che esce incessantemente. E poi, in sottofondo: spari, urla, latrati di cani, lamenti ecc.
Questo è il film “La zona di interesse” del 2023, scritto e diretto da Jonathan Glaser . Ha vinto diversi premi tra cui l’Oscar come miglior film in lingua straniera.
Un piccolo mondo quotidiano, un quadretto di vita “normale” vissuta nella completa rimozione e indifferenza di ciò che succede di là dal muro. “ … là ci sono gli ebrei” dice la moglie di Rudolf alla madre in visita alla figlia e, facendole vedere il giardino, esprime la sua soddisfazione nel prendersene cura. Il film non entra con le telecamere nel campo di concentramento, ma l’orrore di quel luogo lo si percepisce, penetra nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Ma com’era possibile – ci si potrebbe chiedere oggi – vivere in quella casa, in quel luogo? Come si poteva svolgere un lavoro dentro ad un campo di concentramento?
Una miglior comprensione ci viene leggendo il libro di Hannah Arendt “La banalità del male”. Qui la Arendt parla del processo a Otto Adolf Eichmann, militare, funzionario e criminale di guerra tedesco. Fu catturato a Buenos Aires nel 1960 e portato davanti al tribunale di Gerusalemme nell’aprile del 1961 per rispondere di 15 imputazioni, avendo commesso crimini contro il popolo ebraico, contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista durante la seconda guerra mondiale. Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del New Yorcher. Nel libro racconta che Eichmann alla polizia e alla corte disse e ripetè più volte che “qualunque cosa facesse a suo avviso la faceva come cittadino ligio alla legge … di aver fatto il suo dovere, di avere obbedito non soltanto a ordini, ma anche alla legge … La sua colpa veniva dall’obbedienza, che è sempre stata esaltata come una virtù” (2021, Arendt pag. 158,284).
L’obbedienza come virtù, anche quando l’obbedienza implica l’uccisione di persone. Questa la gravità del comportamento, messo in atto senza pensare al male procurato, alle atroci sofferenze. Vivere come in una sorta di bolla anestetica: non vedere, non udire, non sentire con il cuore. Non aprirsi con la mente e con il cuore. Non farsi domande. L’unica persona che si è posta delle domande è la madre della moglie di Rudolf Hoss che, ad un certo punto, se ne va lasciando una lettera alla figlia ma che viene bruciata nella completa indifferenza.
Il film ci riporta all’attualità dell’oggi, alle immagini che ogni giorno i media ci mostrano, alle scene cruenti della guerra in Ucraina o al conflitto in Medio Oriente.
Dobbiamo indignarci ogni giorno. E’ difficile dire qualcosa in questi frangenti, ma dobbiamo tenere gli occhi aperti sul mondo e su ciò che succede ogni giorno e fare di tutto per condannare le atrocità che l’uomo compie senza mai imparare dalla storia per il troppo egoismo, la brama di potere e sopraffazione sugli altri. Indignarci sempre e cercare di lavorare alla costruzione di una pace vera e duratura.