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Per il Myammar. Oltre l’indifferenza

L’esperienza di Albertina Soliani
di Valeria Magri

In questo video di intervista ad Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi e vicepresidente dell’ANPI, emergono a mio avviso alcune interessanti considerazioni inerenti il rapporto tra noi occidentali, che viviamo una realtà diciamo privilegiata, e altri popoli che subiscono ogni forma di sopruso e violenza.

Cogliere le parole della Soliani in questo video può essere una esperienza interessante per noi occidentali che siamo fisicamente fuori da contesti di grave conflitto, perché attraverso il suo racconto ci porta direttamente a contatto con un popolo atrocemente violentato e calpestato nei suoi diritti di persone innanzitutto, i Birmani. Albertina è stata diverse volte in Birmania, Paese governato oggi da una feroce dittatura che brucia villaggi, arresta, tortura ecc.

Proprio qui – ci racconta Soliani – esiste nelle zone forestali, un piccolo esercito ribelle della rivoluzione che combatte ma con uno spirito non violento. I ribelli costruiscono droni e acquistano armi per difendersi e non sono soli. Ci sono infatti persone preparate anche professionalmente – dice Soliani – che entrano in contatto con questi ragazzi che vivono nella foresta, perché fuggiti dalle città violente, e li sollecitano a “rimanere umani, dove c’è un tempo della resistenza ma deve essere un tempo breve, quello necessario e non con uno spirito violento”.

“C’è precarietà nella politica internazionale – dice Soliani – che non sa affrontare le grandi crisi con i discorsi, con la diplomazia, la non violenza, ma noi non possiamo rassegnarci”. La cosa interessante del discorso della Soliani è appunto l’invito a non rassegnarsi a questo stato di cose. Sottolinea inoltre con forza che “è possibile mantenere, anche nelle aree di conflitto, rapporti di costruzione di percorsi di umanità, di solidarietà e di pace”. Albertina è stata varie volte in Myammar e ci racconta un luogo dove “E’ possibile costruire il futuro di un Paese che è in conflitto ma che ha una grande fiducia nella democrazia”.

Viene spontaneo chiedersi: che cosa possiamo fare noi? Nel suo discorso la Soliani offre una risposta, questa: si tratta di sostenere questo popolo e aiutarli anche con piccole cose ma significative, far sentire loro che ci siamo, incoraggiarli, dare piccoli aiuti concreti”. Non possiamo sostituirci a loro nella conquista di libertà e democrazia ma possiamo far sentire comunque in modo forte e chiaro la nostra presenza. “Sarebbe importante – per la Soliani – che la comunità internazionale stesse con loro, che ci fosse un clima politico nel mondo volto al dialogo, al confronto e non solo alla fabbricazione e vendita delle armi. Il papa tutte le domeniche ricorda il Myammar, e che la pace non è impossibile”. Il messaggio della Soliani è che comunque al di là dell’impotenza della comunità internazionale, ognuno di noi può dare un piccolo contributo ma significativo attraverso la vicinanza, la presenza, il sostegno a distanza, l’amicizia. E’ invece l’indifferenza il nemico numero uno che respiriamo spesso nel nostro mondo ricco e dorato.

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