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Intelligenza artificiale e spiritualità

di Don Carlo Bellini

Paura, gioia, tristezza, entusiasmo, curiosità e tante altre sono emozioni che noi uomini conosciamo bene. Le neuroscienze negli ultimi decenni hanno ricercato tanto sulle emozioni e ci sono moltissimi risultati. Sono state individuate zone del cervello particolarmente implicate in alcune emozioni ed è ormai chiaro che emozione, azione ed apprendimento (anche razionale) sono strettamente legati tra di loro (quali conseguenze per la nostra didattica?). Per semplificare al massimo, un uomo primitivo che si rifugiava in una caverna e vi trovava un orso scappava, terrorizzato e memorizzava una mappa mentale del luogo per non tornarci. Ora, molti studiosi sono prepensi a ritenere che la qualità più difficile da spiegare nell’uomo è l’autocoscienza, che è legata alle emozioni. Il mio sentirmi me stesso, la mia consapevolezza che la gioia è la mia gioia, la paura è la mia paura, assieme alla capacità di provare amore o dolore è ciò che caratterizza l’essere umano. (Interessantissima è la questione della possibile coscienza dei grandi primati e dell’emozione negli animali, ma qui non possiamo approfondire. Il mio cane mi vuole bene? Un leone uccide con odio?).

Ripeto: ciò che non è ancora possibile è spiegare l’autocoscienza. Il fatto che tutti gli eventi che comportano paura interessino l’amigdala non dice niente su come nasce la consapevolezza della mia paura. L’avvento della grande capacità di calcolo informatica e dell’intelligenza artificiale arricchisce questi interrogativi di una nuova prospettiva: potrà mai una macchina provare emozioni ed essere autocosciente? Nel film 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick il supercomputer Hal implora di non essere spento, che per lui è come morire. Ecco, dunque, una delle più affascinanti e difficili domande di oggi: come spiegare la autocoscienza negli esseri umani e potrà mai una macchina essere cosciente di sé? Si noti l’ironia della circostanza che la scienza moderna è nata basandosi su una razionalità asettica, che volutamente trascura le emozioni e i desideri dell’osservatore ricercatore, e dunque aspirando ad essere oggettiva non prende in considerazione ciò che oggi è al centro dei nostri interrogativi: coscienza ed emozioni.

Ecco perché molti scienziati e filosofi ritengono che ci troviamo di fronte a problemi nuovi che non si potranno risolvere in maniera classica. Naturalmente le opinioni sono tante. Alcuni ritengono che prima o poi qualcosa come Hal esisterà. Alcuni filosofi pensano che queste ricerche abbiano come oggetto di studio la soggettività dell’uomo e questo innesca un paradosso che non porterà mai a nulla: la soggettività non può essere studiata come oggetto. Altri ritengono che le macchine non potranno mai nemmeno provare emozioni, potranno solo imitarle se programmate adeguatamente. Al contrario emozione e autocoscienza sono una qualità umana che non potranno mai essere adeguatamente spiegate; in questo pezzo di mondo c’è qualcosa di ineffabile ed inimitabile. Di questo parere è Federico Faggin, autore del libro Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura. Per Faggin tutti questi temi, assieme alla meccanica quantistica che il linguaggio della fisica contemporanea, ci invitano ad una nuova considerazione della scienza, della natura e della vita. «Dopo aver analizzato per tantissimo tempo quasi tutte le parti fondamentali di cui è costituita la realtà fisica, una piccola frazione dell’umanità è pronta a passare dal materialismo della fisica classica alla nuova visione olistica, che riconosce quella profonda dimensione spirituale della realtà che in passato ha alimentato i miti e le religioni. Infatti, ci si sta rendendo conto che il comportamento del tutto non può essere spiegato dal comportamento delle parti separate, perché la realtà, diversamente da come la si era immaginata, non è fatta per parti separate e non è oggettiva come una macchina». (Irriducibile, p. 239)

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