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Francesco Luigi Ferrari. L’esilio

 

di Renzo Gherardi

Terzo e ultimo appuntamento per ricordare Francesco Luigi Ferrari nel 90° anniversario della sua morte.

Ferrari si trasferì a Lovanio in Belgio dopo aver fatto tappa a Parigi e a Bruxelles.

Nel giugno del ’28 conseguì il dottorato in Scienze sociali discutendo una tesi in lingua francese su Le régime fasciste italien (che fu pubblicata a Parigi). Con questo lavoro Ferrari si proponeva di suscitare un dibattito tra gli antifascisti in esilio, ma anche di sensibilizzare l’opinione pubblica degli altri paesi europei. Nella tesi analizzava l’evoluzione politica e istituzionale italiana a partire dall’Unità nazionale per dimostrare come il fascismo non fosse un fenomeno passeggero. Secondo Ferrari l’Italia pagava i vizi originari del trasformismo e del carattere “compromissorio” delle sue istituzioni, attuati fin dal “connubio” del 1852. Il sistema politico italiano secondo lui rimaneva incentrato su una concezione oligarchica. Il culmine dell’involuzione venne toccato con la decisione del governo di far entrare l’Italia in guerra, contro l’orientamento della maggioranza della popolazione. A queste fece seguire considerazioni sul retroterra culturale a sfondo nazionalista e sul consenso sociale di origine piccolo-borghese, i quali avevano favorito l’ascesa di Mussolini.

Nella seconda parte della tesi Ferrari suggeriva la rottura con le istituzioni e gli apparati del vecchio Stato liberale. Inoltre gli italiani avrebbero dovuto scrollarsi di dosso l’indifferenza con cui avevano accolto il fascismo. Scrisse che “per possedere la libertà, bisogna diventare degni di questo tesoro incomparabile”.

Già in precedenza Ferrari aveva evidenziato la fragilità del sistema politico italiano e che il popolo “troppo poco lottò per avere ordini democratici” che ottenne più per concessione che per propria virtù. Ne conseguiva che la sconfitta del fascismo non poteva attuarsi con un processo calato dall’alto, ma doveva passare attraverso il coinvolgimento diretto del popolo italiano. Ferrari sperava che il dottorato conseguito potesse aprirgli le porte presso la stessa università, ma la specifica richiesta di Mussolini, avanzata tramite l’ambasciatore italiano in Belgio, gli preclusero questa possibilità.

A offrirgli un sostentamento per mantenere sé, la moglie e due figli che lo avevano raggiunto nella città belga, provvide l’amico Salvemini tramite ricerche sulla storia contemporanea italiana. Nel 1928 Ferrari insieme ad esponenti di altre aree culturali, creò Il Comité italien de Bruxelles, un centro di studi politici e sociali che denunciò la natura dittatoriale del regime fascista. L’organismo diede anche vita a “L’Observateur”, settimanale in francese.

Tuttavia a seguito della firma dei Patti Lateranensi del febbraio del ’29 sorsero incomprensioni tra cattolici e laici. A proposito di questa stipula Ferrari ammise che si trattava di un successo della politica di Mussolini. I patti lateranensi provocarono la chiusura de “L’Observateur”. Nel ’29 nacque la terzogenita Maria Teresa. Nello stesso anno Ferrari, entrato in rapporto con Carlo Rosselli, tramite Giustizia e libertà scrisse e fece circolare in Italia nel 1930 e nel ’31 gli opuscoli “Ai parroci d’Italia”.

Nel primo di questi evidenziava come la Chiesa, che godeva dei privilegi concessi dal regime, in realtà fosse asservita al potere politico.

Nel secondo invitava i preti a non rimanere in silenzio di fronte a “leggi ingiuste” e a “governanti perversi”. Li sollecitava a richiedere diritti e “non dei privilegi in un paese di schiavi”. Avanzava inoltre il diritto di resistenza attiva, affermando “allora la ribellione è lecita, allora la rivoluzione è giusta”.

Entrato in contatto con Lauro De Bosis che aveva cofondato l’Alleanza nazionale per la libertà, una organizzazione clandestina antifascista, Ferrari lo aiutò ad organizzare il volo su Roma per gettare manifestini che inneggiavano alla libertà. L’azione spettacolare vide però l’aereo precipitare al rientro in Francia.

In quel periodo Ferrari entrò in polemica contro i rappresentanti del mondo cattolico “ufficiale”, a partire dal direttore de “L’Osservatore romano” ed ebbe a soffrire per l’abbandono al suo destino del Partito popolare da parte della Santa Sede.

Ciò nonostante prese parte agli incontri promossi dal Segretariato internazionale dei partiti democratici di ispirazione cristiana, sorto a Parigi nel ’25 grazie all’impegno di don Sturzo, il quale nel ’29 passò il testimone all’amico Ferrari.

Questi nel ’30 scrisse una lettera a Filippo Meda, preoccupato che anche in Austria e Germania non nascessero regimi come in Italia. Al Congresso di Anversa nel luglio del 1930 avvertì i rappresentanti europei della minaccia incombente dei fascismi.

Ancora nel gennaio del ’31 in sede di Commissione esecutiva dell’organismo mise in guardia i colleghi tedeschi dai rischi che si correvano sottovalutando il Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler. Il successivo Congresso venne segnato dalla logica degli interessi dei singoli partiti aderenti.

Fino all’ultimo perseguì il primato della politica sulla dimensione sociale, la riforma dello Stato, la prospettiva di una federazione tra i paesi del vecchio continente.

Nel 1932 si trasferì definitivamente a Parigi con la famiglia e si impiegò nella direzione della casa editrice “Société des éditions contemporaines“, la quale fungeva anche da luogo di incontro dei fuoriusciti. Ferrari fondò e diresse “Res Publica” una rivista bimestrale che vide la collaborazione di diverse personalità dell’antifascismo democratico. Nel febbraio del ’33 l’esule italiano fu ricoverato in ospedale in gravi condizioni per un “grosso ascesso polmonare”, probabilmente dovuto alle percosse subite in Italia. Morì il 2 marzo successivo a 43 anni lasciando la moglie e quattro figli di cui l’ultimo di appena un mese.

Francesco Luigi Ferrari con la famiglia nel 1932

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